Pubblichiamo il testo dell’intervento del Presidente di LIME all’evento ebolitano del 29 ottobre 2022 in occasione della presentazione del volume “Lo straniero che è in te” (Delta 3 Edizioni), a cura di Maria Luisa Albano, sotto la referenza scientifica di Leonardo Acone.
Gianfranco Macrì
Presidente LIME
Università degli Studi di Salerno
Dal mio punto di esplorazione, di chi cioè osserva la società con la lente del diritto (e del diritto pubblico delle religioni, in particolare) è impossibile, in apertura di questo intervento, non fare riferimento a quanto prevede la Costituzione sul ruolo e sulla funzione della Scuola. Di più: il diritto costituzionale rappresenta il perimetro politico e giuridico “obbligato” per declinare, coerentemente, l’oggetto della nostra riflessionerispetto ai valori e ai principi che conformano la democrazia europea. Ovviamente ilragionamento che farò sarà tecnico “quanto basta” – per principi – facendo notare, innanzitutto agli studenti, però, che la dimensione del diritto non è qualcosa di separatodalla società; al contrario, essa è legata a doppio filo alla politica, avendo il compito di rendere vincolanti le scelte prese all’interno delle assemblee deliberative, sempre più declinate in senso “multilivello” (nazionale-europeo). Col diritto, dunque, “bisogna fare conti” [R. Ibrido, N. Lupo (a cura di), Dinamiche della forma di governo tra Unione europea e Stati membri, il Mulino, Bologna, 2018].
La frase d’apertura dell’art. 34 Cost. – “La scuola è aperta a tutti” – significa che attraversoquesta fondamentale Istituzione, vista nella sua dimensione circolare (allievi, famiglie, insegnanti, personale tecnico-amministrativo), la persona umana è partecipe di un ampioprogetto che va ben la di là della sua proiezione soggettiva perchè condivide, insieme ad altri attori sociali, la realizzazione del progresso materiale – e (finanche) spirituale” – della società (art. 4, co. 2 Cost.). I Costituenti ebbero, perciò, la sensibilità di andare oltre la “presa in carico” della religione come esperienza istituzionale (artt. 7 e 8 Cost.), sconfinando nella dimensione “spirituale” al fine di valorizzare, anche attraverso questa tipologia di consapevolezza, il progresso della società [A. Fuccillo, Diritto, religioni, culture. Il fattore religioso nell’esperienza giuridica, Giappichelli, Torino, 2022).
La scuola, dunque, come fattore costitutivo della Repubblica. In questa veste essa ha il dovere di contribuire a “rimuovere tutti gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana” e a favorire la sua partecipazione attiva al progresso della società(art. 3, co. 2 Cost.). Per fare in modo che questo avvenga, la Costituzione indica chiaramente qual è la strada da percorre: quella della solidarietà (papa Francesco direbbe della “fraternità”) e dei diritti ad essa correlati: libertà, eguaglianza, pluralismo, laicità, etc.[D. Tonelli (a cura di), Fratelli tutti? Credenti e non credenti in dialogo con Papa Francesco, Castelvecchi, Roma, 2022]. Attraverso la solidarietà, dunque, la Scuola diventa “partecipe”di un progetto politico la cui missione è quella di emancipare la persona umana, accogliendo le diversità nel perimetro della cittadinanza. La cosa importante da cogliere èquesto salto qualitativo della Costituzione repubblicana: la persona umana diventa il punto di riferimento di tutte le azioni realizzate dalle istituzioni (scuola compresa). È la persona umana che precede tutto, perfino lo Stato, il cui ruolo, in una democrazia liberale e sociale com’è la nostra, resta “servente” rispetto alla prima.
Concepito così l’ordine delle priorità – la persona, le comunità intermedie (le “formazioni sociali” di cui parla l’art. 2 Cost. “dove si svolge la personalità dell’uomo”) i poteri pubblici (locali, nazionali, sovranazionali), etc. – alla Scuola tocca l’ònere di riflettere per intero, come uno specchio, la società, senza tralasciare niente e nessuno. Al mutare della società, anche la scuola è vincolata a “mutare pelle”, a “seguire la corrente”. Se la società diventa multiculturale, anche la scuola ne risente e, quindi, avrà il dovere di “rendere effettivo” il diritto all’istruzione attraverso opportune “provvidenze” adeguate al nuovo contesto educativo (art. 34, co. 3 Cost.). Detto in parole semplici: le diversità – etniche,linguistiche, culturali, religiose, etc. – andranno prese in carico dalla Scuola con l’obiettivo di elaborare strategie di interazione cognitiva e pratica [M. Ricca, Pantheon. Agenda della laicità interculturale, Torri del Vento, Palermo, 2012].
Siccome siamo in democrazia, qui si tratta di creare innanzitutto una “cultura del rispetto reciproco”, intesa come “anticamera” del dialogo e della convivenza pacifica. Questo proposito (questa ambizione, potremmo dire) richiede, però, investimenti su diversi fronti: i diritti sociali (in primis: scuola e sanità), insieme ai diritti civili e a quelli politici, in una società sempre articolata e frazionata, rappresentano una “quota” del bilancio pubblico importante. I diritti, in democrazia, hanno costi altissimi. A questo si somma l’azione culturale/educativa, che richiede anch’essa sensibilità e risorse da incanalare all’interno di percorsi formativi inclusivi e stabilizzati. È chiaro che in momenti di difficoltà, le democrazie sono più in sofferenza, proprio perché farsi carico di tutte le sue componenti“umane” richiede uno sforzo politico maggiore, soprattutto sul fronte delle risorse economiche, nonché una “visione” di lungo periodo. E può capitare che in contesti geografici e urbani più disagiati (il Mezzogiorno, le periferie delle grandi città) le differenze si trasformino in diffidenze; da qui: marginalità, devianza, violenza, estremismi, forme più o meno latenti di razzismo che possono fare da sponda a messaggi politici diretti a polarizzare la complessità, contrapponendo “Noi” vs. “loro”, dove “loro” sono quei soggetti e quelle comunità che, a seconda dei contesti di provenienza, vengo inclusi oppure marginalizzati (in base a calcoli di vario genere: economici, identitari) dai processi di socializzazione e da quelli deliberativi. La democrazia ha bisogno di partecipazione. Non a caso tutte le riforme in materia di governo degli enti locali, a partire dagli anni ’90,insistono su una serie di parole chiave come: partecipazione, sussidiarietà, accountability, etc.
La scuola, perciò, è un prisma formidabile per misurare la capacità delle democrazie multiculturali di prosperare o di disgregarsi fino a cedere il passo a forme “controllate” dei diritti e delle libertà (che della democrazia sono la linfa vitale). Ma la scuola è anche (può essere anche) un formidabile laboratorio di sperimentazione sociale, dove assegnare alle forze più vitali della società il compito di elaborare un “lessico della cittadinanza” non conflittuale, che parte dalle persone, dai loro bisogni, dai loro interessi, dai loro sogni; un “lessico” ancorato ai valori della democrazia, di una democrazia costituzionale europea ecosmopolita [cfr. il contributo di S. Berlingò, pubblicato sul sito di LIME, l’11 dicembre 2022].
La legge 169/2008 che com’è noto ha istituito il nuovo insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione” tra le diverse finalità contiene anche quella di promuovere il superamento dei pregiudizi razziali e culturali proprio in una prospettiva di convivenza interculturale. Se l’identità del cittadino si modella nella sfera della quotidianità è necessario sviluppare un senso di appartenenza civica partendo dai giovani futuri cittadini. Sono loro il “barometro” più adatto per misurare la pressione del volume democratico di un paese. I nuovi bandi 2022/2023, pare di capire, vanno nella direzione di coniugare diritti, democrazia, senso civico, “accoglienza”, etc. E quindi le scuole sono chiamate a valorizzare queste opportunità, costruendo reti di competenze utili a conseguire questo risultato.
Un passo importante da compiere con coraggio è quello di promuovere nella scuola un “agire comunicativo” finalizzato allo sviluppo di una personalità “accogliente”, “non-antagonista” rispetto a quanto l’esterno immette all’interno del suo circuito e della società in generale. La scuola non deve essere concepita come una sorta di “cittadella fortificata”dove le “diversità” vengono percepite e rappresentate “separatamente” rispetto al contesto maggioritario. Al contrario, la Scuola deve essere disegnata e “vissuta” (da tutti i suoi protagonisti) come uno spazio aperto, dialogico, dinamico, dove i discenti – ma anchei docenti, le famiglie, le comunità di riferimento di molti adolescenti (penso a quelle religiosamente connotate) – possono vivere la loro condizione come una meravigliosa opportunità per poter essere parte di un progetto educativo comune, dunqueinterculturale.
Pongo velocemente l’attenzione su quanto affermato alcuni anni fa (1989-1992) dalla Corte costituzionale in alcune sentenze riferite proprio al mondo della scuola e in particolare al tema del rapporto scuola pubblica-religione (… la religione è un marcatore culturale di prima grandezza, la cui “attivazione” può rappresentare motivo di condivisione d’intenti ma anche di conflitto tra mondi inconciliabili). In queste sentenze i giudici della Consultahanno rimarcato il “significato antropologico” del profilo religioso presente nell’esperienza dei migranti e della vita di tanti alunni figli di famiglie non autoctone. La Corte ha cioè messo in chiaro l’importanza di avere una Scuola più laica possibile, capace di farsi carico del “peso” della religione nell’esperienza umana senza indentificarsi con nessun messaggio religioso in particolare. Questo significa la capacità di includere al suo interno tutti i sistemi di credenza che ne facciano richiesta secondo un modello di scuola come luogo di formazione del pluralismo [S. Angeletti, Libertà religiosa, best interests,educazione, il Mulino, Bologna, 2022].
Nelle linee guida dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) sulla “Libertà di religione o convinzione e sicurezza” (2019) si invita i governi degli Stati membri (Italia inclusa) a:
“garantire che i programmi scolastici forniscano, a tutti i livelli, informazioni imparziali e accurate sulla diversità di religione e di convinzione e di offrire agli studenti con differenti background di religione o convinzione la possibilità di interagire tra loro al fine di sperimentare la differenza e la diversità in modo naturale e significativo”.
Si tratta di una affermazione molto importante anche perché rinvia al tema, che non possiamo approfondire in questa sede, del rapporto tra i giovani e la sfera dellaspiritualità e della fede, specie alla luce dei formidabili cambiamenti sociali indotti dall’uso delle nuove tecnologie e dall’impatto dei social media e dei social networksull’agire simbolico delle persone e dei gruppi.
Certamente questa nuova età della scuola interculturale richiede, inevitabilmente, come dicevamo in apertura, nuove progettualità, quindi più risorse (certamente), ma anche tanta voglia di sperimentare, accrescendo le occasioni di contatto e di interazione tra il “mondo della scuola” e le opportunità che dall’esterno possono essere incluse all’interno dei processi educativi tradizionali (il testo mirabilmente curato da Maria Luisa Albano “racconta” proprio questo). Penso ai rapporti tra scuola, Università, mondo delle associazioni, Terzo settore, ONG, impresa, banche, etc. Questo per dare agli studenti “più opportunità”, ma anche ai docenti nuove occasioni di ripensamento dei programmi educativi e di crescita personale. Siamo tutti chiamati, dunque, a fare uno sforzo ulteriore, perché la scuola abbia un ruolo fondamentale nelle politiche di accoglienza e nella strutturazione di percorsi formativi all’altezza delle sfide del presente. La scuola pubblica va sostenuta, stimolata, promossa, valorizzata, difesa dall’attacco di quanti ne sviliscono l’importanza e la centralità costituzionale. La sfida, secondo me, è territoriale; partendo da questa dimensione, da come i contesti di prossimità verranno governati, si capirà come la Scuola, insieme alle altre agenzie di formazione pubblica e alle istituzioni civili, sarà in grado di emanciparsi e di alzare il livello di resistenza ai tanti (troppi) fattori di decomposizione democratica mai come oggi così visibili e sfrontati