Dialogo con Mons. Francesco Savino, Vescovo di Cassano all’Jonio (CS) e Vicepresidente della CEI

La Chiesa cattolica non resta in silenzio di fronte al dramma della guerra. Guarda all’Europa e al mondo con fiducia e si impegna quotidianamente per costruisce relazioni di fraternità, all’interno e oltre lo steccato dell’orbe cattolico, in armonia con le genti, all’insegna di un nuovo ecumene cristiano. Questo, in sintesi, il senso della “carovana della pace” a Odessa, in Ucraina (26-29 maggio 2022), dove una delegazione di associazioni, movimenti e istituzioni attivi in azioni non violente e umanitarie ha deciso di recarsi per piantare il seme di una nuova alba e del comune afflato a favore del valore della pace. Tra i protagonisti di questa importante esperienza, anche Mons. Francesco Savino, fresco di nomina alla vicepresidenza della CEI. A lui LIME ha deciso di rivolgere alcune domande, dando il via ad una serie di interviste a quanti sono impegnati, da diversi punti di osservazione e responsabilità pubbliche, a difendere il sommo bene della dignità umana, della tolleranza, della libertà e del dialogo tra culture e religioni.

D. Mons. Savino, come si è preparato a questa esperienza?

R. La preparazione logistica è stata condivisa con gli amici di #stopthewarnow seguendo un programma rigoroso che limitasse quanto più possibile eventi pericolosi per il nostro viaggio. Personalmente ho però cercato di prepararmi anche interiormente, dedicandomi lunghi tempi di preghiera e di introspezione. Mi sono interrogato sul significato di questa esperienza, su come mi sia sentito chiamato dal grido di dolore di questa terra e su come la mia risposta sia arrivata come un altro “Eccomi”. Sì, io all’Ucraina ho detto: “Eccomi”, noncurante del ventaglio di imprevisti che avrei potuto incontrare. Questo non per compiere una scelleratezza o peccare di superficialità ma perché ho inteso di voler essere concretamente di aiuto anche ad un solo cittadino ucraino devastato dalla violenza di questa guerra. Ho capito che avrei dovuto preparare in primis il mio cuore, ripulirlo dalle ansie e dalle responsabilità quotidiane che costituiscono il ministero di un vescovo ed aprirmi al mistero che Dio stava dipanando sulla mia strada. Affidandomi a Lui e fidandomi di questo disegno che per me ha tracciato, ho trovato quella motivazione e quella pace che poi ho cercato di infondere alla gente che ho incontrato.   

D. Che situazione ha trovato “sul campo” dopo aver visitato Odessa e Mykolaiv?

R. Credo di aver capito cosa sia veramente la guerra quando, arrivato a Odessa, ho iniziato a sentire le sirene che preannunciavano la caduta dei missili. La sensazione di non sentirsi al sicuro, pur tenendo i piedi per terra, limita perfino la lucidità del pensiero. A Odessa poi, poche ore dopo il passaggio della nostra carovana della pace, una bomba ha ucciso diversi civili, tra cui un bambino. Il mio pensiero, da quel momento, si è fermato in quel punto. Io avevo toccato, con le mie gambe, gli stessi centimetri di terra su cui, pochi minuti dopo, un bambino (che è ontologicamente la speranza per il futuro), era incappato nella crudeltà e nella bestialità della guerra. In quegli attimi che separavano il nostro passaggio, qualcuno mosso da scelte violente e folli, stava decidendo per la vita di un innocente e di altri uomini e donne. Ho immaginato che in quel punto esatto anche Dio abbia pianto.

A Mykolaiv, invece, al suono delle sirene ci siamo rifugiati in un bunker. Poca aria, poca luce e tante persone. Lì ho toccato la carne viva di Gesù Crocifisso e al tempo stesso ho toccato con mano la potenza della solidarietà. In un mondo che fa la guerra, io ho visto in pochissimi metri quadrati, la forza e l’importanza della vita, la volontà di preservarla e preservarsi. Mi è sembrato di trovare una carovana nella carovana perché in quel bunker, dal quale era impossibile quasi scorgere il cielo, le persone dividevano il pane. Spezzare il pane e dire grazie non era più un momento della liturgia, in quel luogo con l’odore del pane condiviso, si consumava in maniera tangibile il corpo di Cristo. Non nascondo di essermi commosso anche quando ho chiesto al responsabile del centro di aiuti umanitari, un pastore della chiesa protestante pentecostale, di benedirci e i contenuti della sua benedizione sono stati di una bellezza che ha catturato i nostri cuori. Forse vedere e toccare tutta questa sofferenza e supportarla e sopportarla, è stato come ricevere un nuovo battesimo per cui io entravo in punta di piedi nella sofferenza di quella gente. Abbiamo consegnato loro diversi pacchi viveri e beni di prima necessità ma, visto quanto dolore scavava quei volti, questi miei fratelli si sarebbero accontentati anche solo di una carezza. Quanta dignità ho registrato nei volti di questi fratelli e sorelle.

D. Quali contatti ha avuto modo di stabilire con persone e gruppi impegnati a favore della pace in Ucraina?

R. Sia a Odessa che a Mykolaiv, assieme alle decine di volontari della carovana della pace #stopthewarnow, abbiamo incontrato varie realtà della Caritas impegnate da mesi nei territori, al fronte, così come altre donne e altri uomini impegnati ad aiutare, a tendere la mano, a dare volti e cuore a una chiesa di prossimità, ospedale da campo. A Odessa abbiamo vissuto un importante momento di dialogo e preghiera ecumenico con i confratelli vescovi delle diverse chiese impegnate nella meravigliosa città sul Mar Nero: greco cattolica, latino cattolica e ortodossa.

D. Quali saranno le nuove azioni che la CEI ha intenzione di portare avanti per rendere la pace possibile in Ucraina “senza strumentalizzazioni”?

R. La pace si costruisce dal basso e siamo stati in Ucraina per testimoniarlo anche con la nostra presenza fisica. L’arcivescovo maggiore di Kiev, nel dialogo che abbiamo avuto durante i giorni a Odessa, ha posto l’accento sulla sofferenza del popolo ucraino e sul coraggio dei suoi vescovi e presbiteri che sono rimasti al loro posto, con fede e coraggio, rendendo possibili tante iniziative umanitarie. Ha ringraziato la carovana umanitaria per essere arrivata sino a Odessa e Mykolaiv, e ha concluso, chiedendoci con tutto il cuore di essere testimoni di quello che abbiamo visto, “perché questa è anche una guerra ibrida, della disinformazione”. Ho assicurato all’arcivescovo maggiore di Kiev e capo della Chiesa greco cattolica d’Ucraina, Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, la vicinanza della Chiesa italiana, garantendogli che mi farò eco e strumento di verità, perché non c’è giustizia senza verità. Come Chiese sorelle, che si vogliono bene, ho sottolineato ai confratelli che ci sono, che la Chiesa c’è, che non sono soli. Sicuramente, anche come CEI, in un discernimento comunitario, ci lasceremo interpellare dai segni che abbiamo e che andremo a rilevare in questa guerra sacrilega, e ci metteremo in ascolto della Parola di Dio per comprendere la Sua volontà. Di certo saremo accanto al popolo ucraino.

D. Che messaggio si sente di rivolgere ai calabresi impegnati in azioni umanitarie e di solidarietà?

R. Se c’è una cosa di cui i calabresi saranno sempre ricchi, è il senso di ospitalità e di accoglienza. Io credo che ogni calabrese impegnato in questo senso, abbia la grande capacità di farsi dono per gli altri. È come se un po’ del calore del sole che scalda questa bellissima terra, fosse indotto in ciascun calabrese e quindi arrivi in ogni parte del mondo in cui si trovano impegnati per aiutare i più fragili. A questi uomini e donne, vorrei dire grazie per l’eccedenza di amore che diffondono. Vorrei dire grazie per il coraggio e la perseveranza ma anche per la serietà e l’amore che condividono. Molti di loro spesso vivono lontano dagli affetti familiari con il solo desiderio di ricostruire, nei luoghi di sofferenza, delle nuove famiglie, delle nuove comunità, delle contaminazioni che sono il segno più vero e sacro dell’uguaglianza. Inoltre, vorrei dire loro di aver cura anche della propria vita perché la sofferenza avrà sempre bisogno di questi volti, di questi sorrisi e di queste belle umanità.