CULTURE DELLA GIUSTIZIA E MAR MEDITERRANEO: UNA ROAD MAP

La civiltà mediterranea ha introiettato numerose e talora conflittuali culture della giustizia, in almeno due sensi. Facciamo innanzitutto riferimento alla cultura del processo e della giurisdizione, ma, senza confondere due piani che tuttavia si intersecano, anche al tema della giustizia sociale. Cosicché essi agiscono contemporaneamente quando li pensiamo disgiunti e acquisiscono autonomia proprio quando li confondiamo. Il populismo penale (stigmatizzato, tra i numerosi altri, negli scritti recenti di Massimo Donini e Stefano Anastasia) nasce proprio da questa rappresentazione in trompe-l’oleil del pianeta giustizia. Gli ultimi due decenni hanno costituito, per i sistemi giuridici euro-occidentali, la più evidente sottrazione di diritti sociali dai tempi delle Carte costituzionali del Dopoguerra. Ciò, va da sé, non ha portato a efficientamento di spesa pubblica e nemmeno a riduzione dei poteri autoritativi dello Stato, che hanno semplicemente direzionato altrimenti il loro operato. Lo Stato (sociale) minimo non poteva che diventare Stato (penale) massimo: da Robert Nozick a Thomas Hobbes andata e ritorno. Anzi, può lecitamente sostenersi che i Paesi del Mediterraneo, per la loro peculiare diversità di culture giuridiche (e spesso fragilità di condizioni economiche), rappresentano uno dei più interessanti casi di studio oggi al mondo.

Nelle primavere arabe, si era cercato di affermare un sistema di depenalizzazioni secolari, che è stato due volte frainteso: dagli osservatori esterni che lo hanno scambiato per laicismo, dai poteri interni che hanno fatto risalire di grado, nella ristrutturazione costituzionale, i poteri di fatto e di diritto degli eserciti.

Nel Mediterraneo europeo, si sono visti in atto due diversi e complementari fenomeni.
I Paesi non ancora appartenenti all’ordine euro-unitario continuano a vedere nella UE l’approdo di un processo giuridico-economico (come ha fatto di recente la Croazia anche sul piano monetario), ma si moltiplicano le tensioni interne che rimandano a conflitti etnici e razziali, oltre che economici.
Gli Stati membri hanno vissuto il tremendo treble della crisi economica, di quella pandemica e di quella bellico-energetica in modi irriducibili a sistema. La Spagna e il Portogallo – la riuscita della loro intrapresa appare peraltro dimostrata da un miglioramento delle condizioni di vita – hanno cercato di dimostrare, Gaetano Salvemini docet, il vincolo di fraternità tra libertà civili, politiche e sociali. La Grecia ha visto la sconfitta del suo ceto politico riformista, ma la risposta della sinistra popolare è stata irretita e superata, nei consensi, dalle proposte della destra repubblicana e confessionista. L’Italia ha premiato una coalizione nel cui programma, alla voce giustizia, sembra esserci tutto e il suo contrario, per quanto con una sua sorprendente coesione e coerenza interna: inasprimento del diritto penale di marginalità (col rischio che il diritto penale bagatellare torni a cornici edittali incostituzionali e ad affollare i procedimenti, più di quanto già non faccia), proposte di riforma liberale della giurisdizione ancora così da venire che probabilmente non se ne vedrà la luce.

Complicato, oltre che decisamente troppo impegnativo per noi, addivenire a un’archeologia delle garanzie alla persona nell’antropologia mediterranea della giustizia. E tuttavia sui confini del Mare Nostro abbiamo visto Antigone proclamare fino alla morte il primato caritatevole e fraterno dei principi non scritti sui decreti scritti dai vincitori.

Abbiamo visto la folla di Gerusalemme graziare un ladro e crocifiggere, in combutta col potere romano, un profeta, affinché si compisse la Scrittura.
Abbiamo visto l’Inquisizione domenicana: un vero monumento dell’istruzione probatoria e dell’interrogatorio, salvo che la sua performance si valutava in roghi e condanne.

Nell’Italia meridionale, in più, ci sentiamo partecipi, nani sulle spalle di giganti, di quel filo di dignità umana nelle carte del processo che, iniziato dall’Illuminismo napoletano, arriva con laica pietà alle pagine di Repaci, Alvaro, Sciascia.
Una cosa, perciò, sentiamo di avere appreso dalla storia del Mare tra le terre: che il vanto del boia non ha risarcito le genti, non ha fermato i misfatti, non ha salvato le vittime.